Trentesima Domenica del T.O. Dal Vangelo secondo Matteo (22,34-40)
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Parola del Signore Domenica Universale delle Missioni Tutti noi abbiamo visto sicuramente, almeno in televisione, ciò che è una icona, specialmente quelle bellissime icone russe e anche combinazioni di varie icone, tre icone, un trittico o più icone, polittico, ecc. Ebbene oggi noi ci troviamo di fronte a un trittico di icone tematiche molto importanti che devono essere trattate con cura. La prima icona, la centrale, è la risposta che Gesù dà a chi lo interroga su quale fosse il primo di tutti i comandamenti della legge di Dio. La seconda icona è la determinazione, la disposizione, presa dalla Chiesa, parecchi anni fa, di celebrare in questa domenica la Giornata Universale delle missioni estere. E la terza icona è il Sinodo della nostra Diocesi, indetto dal Vescovo Monsignor Giuseppe Petrocchi, e che finiti i preliminari, entra adesso nella sua situazione, diciamo pratica, concreta. Ebbene, su queste tre icone noi dobbiamo fare le nostre riflessioni. Cominciamo dalla prima . La centrale è l’icona sulla risposta di Gesù a chi lo interrogava circa il principale dei comandamenti. E lui rispose, conoscendo bene la Sacra Scrittura ( Deut. 6,5 ): “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta latua mente, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”, ossia con tutte le capacità del tuo essere. E aggiunge pure: “E il secondo è uguale al primo, amerai il tuo prossimo come te stesso”. Riassume così tutte le disposizioni di rispetto al prossimo che la Sacra Scrittura ha in parecchi suoi libri. Ebbene, su questo bisogna fare una duplice riflessione. La prima è questa: gli studiosi della sociologia religiosa ci dicono che nel mondo antico delle false divinità, i popoli pagani collocavano la dimora delle divinità in vari posti di tipo inaccessibile. E abbiamo così almeno due culture religiose, la cultura “uranica” e la cultura “ctonica”. La cultura uranica (uranos in greco vuol dire cielo) è la cultura religiosa dei popoli pastori delle grandi praterie dei deserti, delle steppe che portavano al pascolo i loro greggi e, stando di notte a contemplare i cieli nella tranquillità del riposo notturno, vedevano nel cielo un posto di tranquillità, un posto di equilibrio, dove gli astri giravano sempre nella stessa forma. Le stagioni si ripetevano sempre nello stesso ordine e maniera ecc. Ebbene queste sono le popolazioni di religione uranica. Ci sono altri che hanno un’altra cultura, la cultura ctonica, delle profondità dei mari, della oscurità delle caverne, dei boschi ecc. Pensiamo a tutta la cultura delle religioni del Nord Europa: tritoni, naiadi, sirene, elfi, folletti dei boschi, ecc. Ebbene, anche gli Ebrei che erano di cultura uranica, quando diventarono monoteisti, fecero il tempio e lo collocarono nel punto più alto della città di Gerusalemme sul Monte Sion. Ecco che anche i Greci collocavano i loro dei sul monte Olimpo ecc. Fratelli e sorelle, con questo tipo di collocazioni delle divinità, si creava nella mentalità degli uomini l’immagine di una divinità lontana, staccata dagli interessi degli uomini; una mentalità preoccupata della propria storia. Difatti, tutte le mitologie sono storie inventate dagli uomini su degli dei inesistenti. La novità introdotta da Gesù però con il secondo comandamento, “amerai il prossimo tuo come te stesso” è un salvataggio, una superamento di questa distanza. Perché? Perché amare il prossimo diventa l’unica maniera di amare Dio. Come mai? Perché la rivelazione divina ci dice chiaramente in una delle sue grandi lezioni date all’umanità: “Ma come fai a dire che ami Dio, che non vedi, se non ami il prossimo che vedi?” ( cfr 1 Giov. 4,20). E poi, per di più, in un’altra parte Cristo dice: “Ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me, quando avete dato da bere a un assetato, da mangiare a un affamato, visitato un infermo o un carcerato è me che avete dissetato, che avete alimentato, che avete visitato”. (cfr Matt. 25, 34-46). Si tratta praticamente di una specie di immedesimazione del Cristo nel prossimo, che quasi si presenta a noi come una maschera. Però sostanzialmente qui il problema è risolto: si passa da una adorazione contemplativa di una divinità lontana, di un Dio quasi assente dai processi dell’umanità, ad una adorazione fattiva, una adorazione che è di una presenza di Dio vicino a noi nel nostro prossimo. Ma questo secondo comandamento ha anche un altro aspetto importante sul quale riflettere. Gesù da la misura dell’amore al prossimo. “Amerai il prossimo come te stesso”. Fratelli e Sorelle, io amo me stesso,evidentemente, e perciò mi preoccupo della mia salute, del mio benessere, se ho fame mangio, se ho sete bevo, se sono malato mi faccio visitare da un medico, mi curo, se ho freddo mi vesto ecc. Ebbene tutto questo che io faccio, queste azioni buone verso di me partono dalla profondità dell’amore che ho per me stesso, per la mia felicità. Ed è qui che risiede la difficoltà per noi verso il prossimo. Possiamo fare verso il prossimo molte azioni di beneficenza , dare da mangiare, dare un po’ da bere, visitare una persona, ma alle volte posso fare questo per tantissimi altri motivi, per esempio, per togliermelo dai piedi, per tacitare la mia coscienza, per tranquillizzarmi ecc. Ma non è questo che vuole il Cristo, non basta la beneficenza, vuole la benevolenza e la benevolenza verso il prossimo è un dono dello Spirito Santo, che ci fa vedere nel prossimo, in maggiore profondità, oltre che una creatura un candidato ad essere figlio di Dio se già non lo è. E allora ecco qui che non basta più la beneficenza, ma ci vuole la benevolenza verso il prossimo. Seconda icona: Giornata Universale delle Missioni, ed è in questa seconda icona che un elemento importante sul quale abbiamo proprio adesso riflettuto, quello della benevolenza e della beneficenza, viene a galla. Oggi nell’intero mondo cattolico si celebra la Domenica Universale delle Missioni che fu istituita in tempi abbastanza lontani dalla Chiesa, con la preoccupazione delle missioni estere affinché il Vangelo fosse portato sui fronti dove non era stato ancora predicato e, in generale, la Chiesa durante questi decenni ha risposto generosamente sostenendo con la preghiera, con il denaro, con gli aiuti materiali, con la forma logistica, con cose e persone perché il fronte o i fronti dove il Vangelo era predicato in Asia, in Africa, in America latina fosse portato avanti. Ecco fratelli e sorelle, questa è la beneficenza. In ultimo però, in questo ultimo mezzo secolo l’accelerazione della storia ha creato nuove situazioni, che ci esigono atteggiamenti nuovi senza diminuire l’impegno fin qui profuso per le missioni estere con la preghiera, con l’aiuto in denaro, con l’appoggio logistico. Dobbiamo renderci conto che il fronte della prima comunicazione del messaggio di Cristo è sorto anche tra di noi. Ci sono fasce intere delle nostre società nelle quali il Vangelo è assolutamente o praticamente sconosciuto. E qui non si tratta di rispondere a una situazione con la beneficenza, alle volte non ce n’ è nemmeno bisogno, ma con la benevolenza verso i lontani. Portando loro il messaggio che noi abbiamo ricevuto, che ci riempie il cuore di gioia e di felicità. Ma farlo con garbo, intelligentemente come diceva la Santa Madre Teresa di Calcutta alle sue suorine. “Preferisco che facciate un errore con garbo e intelligenza gioiosa, che fare una cosa buona con zelo amaro”. Fratelli e sorelle, questo dobbiamo praticare con i nostri fratelli ai quali il Vangelo non è ancora arrivato in pienezza. E la terza icona è il Sinodo Diocesano indetto dal nostro Vescovo Monsignor Giuseppe Petrocchi. Sinodo vuol dire camminare insieme, è la strada che dobbiamo fare tutti insieme. Il nostro Vescovo è proprio preoccupato di questa situazione, vuole che la nostra diocesi diventi una casa, ma la casa è per una famiglia. Dobbiamo domandarci: “E noi, tra di noi, tra le parrocchie, tra i diversi movimenti di diverse spiritualità, siamo veramente tutti fratelli? Ci comportiamo attivamente? Ci conosciamo? Sappiamo dei problemi che abbiamo gli uni gli altri? Viviamo veramente come famiglia in una stessa casa?” E’ su questo che il Vescovo ci dice di riflettere. Fratelli e sorelle, io tocco solamente questo, le forme tecniche del come con schede con risposte, con partecipazione concreta e attiva sarà di responsabilità degli specialisti incaricati che ce le comunicheranno, ma noi dobbiamo potenziare in noi l’amore al prossimo, quell’amore di benevolenza che il Cristo ci ha detto, perché nel prossimo amiamo Dio. Così sia.
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