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46 Domenica 23^ Tempo Ordinario (La correzione fraterna) rif. al 04/09/11 PDF Stampa E-mail
                     Ventitreesima Domenica del T.O. 

Dal Vangelo secondo Matteo  (Mt 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Parola del Signore
 

                           La correzione fraterna 

 Il procedimento che, oggi nel vangelo, Cristo ci propone per la correzione fraterna nei suoi particolari era applicabile alla comunità cristiana iniziale formata da un numero di persone che rendeva possibile le relazioni personali di conoscenza, amicizia e con una strutturazione che prevedeva un certo tipo di autorità. Una comunità nella quale ci si poteva chiamare fratelli in Cristo. Difficilmente oggi questo è applicabile, perché è cambiata la società.Il supporto sociologico sul quale il Cristo si basava, oggi non è più lo stesso.L’espressione esterna più evidente della comunità cristiana oggi è la celebrazione eucaristica domenicale ed è con molto ottimismo, con evidente estrapolazione analogica, che ci si reca a queste riunioni considerandole di comunità parrocchiale, essendo che la maggior parte della gente presente neppure si conosce. Non ha rapporti personali primari, come dicono i sociologi, ma hanno solamente quelli di una presenza comune come pubblico ad attività fatte insieme in un tempio con le cosiddette autorità “della chiesa”, la gerarchia. Ci sono rapporti di ruolo: voi preti ci date ciò di cui abbiamo bisogno, sacramenti, ecc. e noi a nostra volta collaboriamo con voi. Di fronte a questa situazione corre l’obbligo di una correzione fraterna nella forma voluta da Cristo. Ma certamente non corre l’obbligo di preoccuparsi dei fratelli che sbagliano.Allora come fare? Qui bisogna proprio riordinare un po’ le idee.Perché, quale ragione mi obbliga a interessarmi dell’errore commesso da un mio fratello?L’idea basilare dalla quale si deve partire è quella di accettare come fondamento il fatto che noi formiamo una misteriosa unità con Cristo.Noi tutti battezzati, con Cristo abbiamo un rapporto che è misterioso ma profondissimo, molto più di quanto immaginiamo. Parlo in questi termini, perché nel vangelo si parla ai fratelli di una comunità e la comunità di base su cui noi tutti ci dobbiamo poggiare è quella formata dai battezzati, fratelli che appartengono ad un comunità organizzata chiamata corpo di Cristo, gerarchizzata, con dei ruoli. Ognuno di noi, in quel “Corpo di Cristo”, così chiamato da San Paolo, ha la sua responsabilità: più che tra fratelli, più che tra membri di uno stesso club. Molto di più. Si tratta di una responsabilità come membro di uno stesso corpo vitale in cui se un membro si ammala tutti si ammalano, se un membro sta bene tutti stanno bene. Ognuno di noi ha, quindi, la responsabilità della salvezza dell’altro membro di questa comunità. L’ostacolo maggiore, evidentemente, è la cultura individualistica nella quale siamo stati educati e nella quale oggi si dimena la società attuale e noi in essa. Lo slogan “uno per tutti e tutti per uno”, che può essere stato lo slogan idealista di piccoli gruppi è stato sostituito oggi dal “ognuno per sé e buonanotte al secchio”. Ognuno si aggiusta per proprio conto: viviamo in un individualismo senza freni.Allora ci deve pur essere qualche forma per poter applicare in questa situazione la proposta del Cristo di perdonare e di correggere i fratelli.La prima cosa da fare è proprio la preghiera.Giacomo nella sua lettera ( Giac. 5,16) dice: “La preghiera sincera di una persona buona è molto potente”, perché con la preghiera noi ci mettiamo in contatto con Dio al quale, secondo ciò che Gesù ci ha detto, dobbiamo chiedere affinché la nostra gioia sia piena. La preghiera può risolvere tutti i problemi poiché si rivolge a Dio l’onnipotente che tutto può e che vuole la nostra salvezza e che può organizzare tutto orientandolo verso la nostra salvezza.Pregare è, perciò, la prima cosa da fare e intervenire poi, praticamente, in una correzione orale, possibile come il procedimento indicato dal Cristo per la correzione. Questo è ancora applicabile in certe comunità abbastanza ristrette, ben strutturate come, per esempio, nelle comunità religiose dove ci si conosce personalmente. In esse, di fatti, il diritto canonico, ossia l’insieme delle leggi della Chiesa, ha stabilito la forma progressiva della correzione fraterna chiamata tecnicamente “ammonizione canonica”. La “ammonizione” viene fatta dal superiore responsabile, prima in privato, poi con due testimoni e infine ricorrendo all’autorità superiore che può procedere fino alla eliminazione dal gruppo del soggetto malsano e ribelle.Ma come fare con gli altri comuni cristiani? Come procedere in questa grandissima massa di gente che essendo stata battezzata in una percentuale molto alta vivono praticamente da pagani con un totalitarismo relativista enorme? Il saggio assioma dei latini, dei nostri antichi padri, dice con tanto buon senso di non sprecare parole dove non ti si vuole ascoltare. Ubi non est auditus ne effundas sermonem! Ma, io cristiano ho la responsabilità di interessarmi per la salvezza del mio fratello che più che fratello è membro come lo sono io, con me nel corpo mistico di Cristo. Qui mi orienta nuovamente il buon senso dei nostri avi che dicevano “verba volant, exempla trahunt”. Le parole se ne vanno ma gli esempi trascinano la gente.Già Paolo VI ci ripeteva che questo mondo ha bisogno di testimoni che con i fatti diano testimonianza della loro fede più che maestri che con le parole l’insegnano.Il testimone silenzioso agisce linearmente d’accordo ai principi dei quali è pienamente convinto. Compie semplicemente e sempre con diligenza, senza sfoggio, il proprio dovere: con competenza professionale aggiornata, con gentilezza nei modi, con onestà ed esattezza diamantina nel rispetto delle giuste regole comuni.Allora sì, fratelli e sorelle, sarete come stelle del mattino che brillano nell’ultima oscurità della notte. Stupirete chi vedendo le vostre opere loderà il Padre che è nei cieli e se è mancante, se commette qualche sbaglio si sentirà spinto a ravvedersi. Lasciamo agire lo Spirito Santo, così avrete ottenuto la correzione della condotta sbagliata di un fratello. Quanti esempi! Pensiamo solo a Madre Teresa di Calcutta  che senza tante parole ha commosso milioni di non credenti che l’hanno seppellita con un funerale di stato. E quanti altri esempi. Entriamo anche noi nella schiera di questi nostri fratelli e sorelle; nel nostro piccolo mondo noi non sappiamo quale influsso può avere il nostro esempio. Lasciamo che lo Spirito Santo porti avanti la sua azione, ma ricordiamo il detto dei padri spirituali cristiani: “Animam salvasti, animam tuam predestinasti”. Hai salvato un uomo, una donna, un’anima, hai deciso la salvezza di te stesso.Così sia. 

Ultimo aggiornamento ( domenica 04 settembre 2011 )
 
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